Lo scontro in Consiglio: presidente e vice nel mirino dell'opposizione per il Bilancio-lampo
Castellaneta, sfiducia oppure dimissioni per finirla con la malapolitica?
CASTELLANETA – Il dilemma e l’alba.
Dal bilancio, veloce quasi come un fulmine, alla sfiducia consegnata su carta, poi parlata e forse urlata e degenerata in avanspettacolo sui tanti video del web e in tv con Striscia la notizia.
I sei consiglieri d’opposizione, Rocco Loreto, Leonardo Rubino, Michele D’Ambrosio, Stefano Ignazzi, Giuseppe Rochira e Maurizio Cristini hanno presentato una mozione di sfiducia contro il presidente del consiglio Carlo Nardulli e la vicepresidente Simonetta Tucci.
Nella pagina si leggono severe parole: l’art. 54 della Costituzione prescrive l’adempimento con onore delle pubbliche funzioni, l’art. 8 del Regolamento comunale prescrive che la presidenza tuteli con imparzialità la dignità, il ruolo e le prerogative dei consiglieri comunali; prescrizioni violate nel Consiglio comunale del 3 novembre 2012 con “comportamenti scomposti, ribalda spavalderia, ilarità fuori luogo” contravvenendo “in modo plateale ai doveri di imparzialità e alle responsabilità” con anche vilipendio “della dignità e del ruolo del Consiglio comunale” e “incalcolabile danno all’immagine e al ruolo della massima Assise comunale, espressione della rappresentanza e sovranità del corpo elettorale”.
La mozione di sfiducia, pur destinata alla reiezione, consegnando il dibattito agli atti consiliari, fa diventare eterni quei tre minuti, che da voler essere giocosi son diventati infausti, un marchio d’infantilismo, peggiore della ribalderia, su tutta la maggioranza, che però resta impresso sui presidenti.
Il dibattito che si terrà il cinque dicembre non potrà non essere al calor bianco, cioè scantonerà nei personalismi: per le istituzioni e la storia cittadine, un momento più buio di quello del bilancio dello sgarbo istituzionale e umano: una situazione macbettiana, il male tira il male, o, per dirla con un eloquente proverbio: di male in peggio.
E’ stato detto che la misura per il comportamento verso altri è quella del comportamento che non si vorrebbe verso se stessi. Ma una volta commesso l’errore c’è un solo modo per ripararlo: riconoscerlo e uscir di scena, in modo che non se ne parli più. In Italia, però, l’uscir di scena non si usa nemmeno per conclamati reati, che si può pretendere da uno scherzo di cattivo gusto?
Epperò bisogna pur cominciare. Oggi anche dal più sperduto quartiere nazionale sale il grido di compostezza, di essere e sembrare irreprensibili, essere austeri a cominciare da se stessi, per dirla col più famoso censore dell’umanità, Catone.
Presidente e vicepresidente sono alle prese con un gravoso dilemma: essere sommersi essi, la loro storia e le istituzioni dalla censura di sei colleghi e di molti cittadini, o impedire la scrittura di quest’altro capitolo di malapolitica? Sentire le dure parole di rimprovero e derisione della sfiducia, o dimettersi?
Non è tardi per essi almeno per liberare lo scranno presidenziale e, così facendo, suturare la ferita inferta alle istituzioni e alla propria dignità, e creare le condizioni della riabilitazione.
E per far ammirare anche una tersa alba di una politica di servizio alla città, invece che a se stessi.
Dal bilancio, veloce quasi come un fulmine, alla sfiducia consegnata su carta, poi parlata e forse urlata e degenerata in avanspettacolo sui tanti video del web e in tv con Striscia la notizia.
I sei consiglieri d’opposizione, Rocco Loreto, Leonardo Rubino, Michele D’Ambrosio, Stefano Ignazzi, Giuseppe Rochira e Maurizio Cristini hanno presentato una mozione di sfiducia contro il presidente del consiglio Carlo Nardulli e la vicepresidente Simonetta Tucci.
Nella pagina si leggono severe parole: l’art. 54 della Costituzione prescrive l’adempimento con onore delle pubbliche funzioni, l’art. 8 del Regolamento comunale prescrive che la presidenza tuteli con imparzialità la dignità, il ruolo e le prerogative dei consiglieri comunali; prescrizioni violate nel Consiglio comunale del 3 novembre 2012 con “comportamenti scomposti, ribalda spavalderia, ilarità fuori luogo” contravvenendo “in modo plateale ai doveri di imparzialità e alle responsabilità” con anche vilipendio “della dignità e del ruolo del Consiglio comunale” e “incalcolabile danno all’immagine e al ruolo della massima Assise comunale, espressione della rappresentanza e sovranità del corpo elettorale”.
La mozione di sfiducia, pur destinata alla reiezione, consegnando il dibattito agli atti consiliari, fa diventare eterni quei tre minuti, che da voler essere giocosi son diventati infausti, un marchio d’infantilismo, peggiore della ribalderia, su tutta la maggioranza, che però resta impresso sui presidenti.
Il dibattito che si terrà il cinque dicembre non potrà non essere al calor bianco, cioè scantonerà nei personalismi: per le istituzioni e la storia cittadine, un momento più buio di quello del bilancio dello sgarbo istituzionale e umano: una situazione macbettiana, il male tira il male, o, per dirla con un eloquente proverbio: di male in peggio.
E’ stato detto che la misura per il comportamento verso altri è quella del comportamento che non si vorrebbe verso se stessi. Ma una volta commesso l’errore c’è un solo modo per ripararlo: riconoscerlo e uscir di scena, in modo che non se ne parli più. In Italia, però, l’uscir di scena non si usa nemmeno per conclamati reati, che si può pretendere da uno scherzo di cattivo gusto?
Epperò bisogna pur cominciare. Oggi anche dal più sperduto quartiere nazionale sale il grido di compostezza, di essere e sembrare irreprensibili, essere austeri a cominciare da se stessi, per dirla col più famoso censore dell’umanità, Catone.
Presidente e vicepresidente sono alle prese con un gravoso dilemma: essere sommersi essi, la loro storia e le istituzioni dalla censura di sei colleghi e di molti cittadini, o impedire la scrittura di quest’altro capitolo di malapolitica? Sentire le dure parole di rimprovero e derisione della sfiducia, o dimettersi?
Non è tardi per essi almeno per liberare lo scranno presidenziale e, così facendo, suturare la ferita inferta alle istituzioni e alla propria dignità, e creare le condizioni della riabilitazione.
E per far ammirare anche una tersa alba di una politica di servizio alla città, invece che a se stessi.
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